Spiritualità coniugale.

Le radici bibliche. Conversando con Zani.

Nell'ambito del percorso "Essere sposi: un filo rosso percorre la Bibbia" volto a ricercare il fonxamento  biblico della spiritualità coniugale, al termine della meditazione sulle Nozze di Cana, sono state rivolte alcune domande al relatore, il biblista don Lorenzo Zani. Le sue risposte lucide e chiarificatrici sono riportate* di seguito. 

*il testo ricavato dalla registrazione audio non è stato rivisto dal relatore.

  1. Sponsalità nella Bibbia: "Amore di coppia" o "Gesù sposo" come paradigma su cui fondare la spiritualità coniugale?

Sono 2 prospettive che si completano a vicenda partendo da Mt 5 (all’inizio del discorso della montagna, Gesù dice: non sono venuto per abolire, ma per portare a compimento). Non c’è una superiorità del celibato sul matrimonio, come presumono alcuni basandosi sul fatto che questa modalità di vivere l’amore sia stata introdotta da Gesù nel NT, mentre il matrimonio era già presente anche nell'AT. Nel NT Gesù introduce il celibato ma si presenta anche come sposo. Gesù porta a compimento sia il celibato che il matrimonio. Nella «Deus caritas est» si uscita unadice che il modo fondamentale per capire l’agape è il matrimonio. È l’archetipo dell’amore per 3 motivi: perché è fatto dall’incontro tra 2 persone; perché è fatto con l’anima e con il corpo; perché è aperto a qualcosa che va oltre.

Per la spiritualità coniugale vanno usati sia il filone dell’amore di coppia che quello della sponsalità di Gesù, ma anche la riflessione di Paolo: sono tutte pennellate che completano il quadro. Naturalmente la sponsalità è una delle modalità per intuire il rapporto con Dio. Un’altra per esempio è la filiazione. Nell’ultima cena ne usa un’altra: la relazione amicale; appena risorto, alla Maddalena parla di fratelli: lui è il primogenito. Sono diverse immagini che, partendo da esperienze nostre, cercano di illustrare in cosa consiste la relazione con Dio e con Cristo. La sponsalità è una di queste immagini. La sponsalità non è l’unica, ma è molto frequente. Serve a sperimentare, comprendere, annunciare la relazione di Dio con gli uomini, la relazione di Gesù con la sua Chiesa.

  1. È necessario presentare alle coppie questa via di spiritualità coniugale o nella diversità di ognuno e nella fantasia di Dio si può pensare che possano essere molteplici le vie con cui entrare in relazione con Lui?

Ognuno di noi ha una dimensione amicale con Dio e con Gesù, o, per dirla con la sua parola, ognuno di noi “prega nel segreto della sua camera”. Però questo brano [le nozze di Cana, N.d.R.] vi invita non soltanto ad una relazione personale con Dio, ma vi invita come coppia. Accanto a momenti singoli ed individuali (essere una carne sola non significa diventare caffellatte, ognuno resta singolo con la sua storia, la sua personalità ecc.), però, c’è anche qualcosa (e penso che questo qualcosa occupi molte ore del giorno) in comune, un sentire in comune, un pregare in comune. Qual è il vino nuovo che dà festa al nostro essere insieme, o qual è il vino che sta per mancare? C’è una spiritualità personale, è chiaro, ma c’è anche una spiritualità di coppia. È alla coppia che Gesù dà questo vino nuovo, non alla sposa o allo sposo. E se ci sono figli, c’è anche una spiritualità familiare. Questo brano, a differenza di altri che stimolano il rapporto amicale con Gesù, stimola soprattutto questa dimensione; il brano ci fa chiedere: “nella mia famiglia, che cosa si riduce ad acqua o addirittura ad assenza di acqua? Cosa fa sì che al posto del vino subentri il tram tram dell’acqua e a volte neanche di quella e ci si trovi con le anfore vuote?”. Quale ulteriore gioia e freschezza (vino è gratuità, vino è festa) potrebbe esserci nella nostra famiglia, a partire da noi due coppia? Il brano invita ad andare oltre alla spiritualità personale: è centrato sul far sì che in quella casa ci sia un po’ di vino, un po’ di festa, ci sia il dono dello Spirito, della gratuità, questo dono che il papa esprime con le tre parole “permesso, grazie, scusa”.

  1. Si può dire che da singoli abbiamo avuto diverse vie di avvicinamento al Signore (amicale, filiale..) e che il fatto di essere, ora, coppia ci dia un’altra via d’accesso, complementare alla precedente, per vivere più in profondità il rapporto col Signore?

In fondo il cammino è lo stesso di Maria: prima era un cammino personale di lei con Gesù. Dopo deve diventare persona che ha in questa comunità un ruolo, un compito. Continua a restare la madre di Gesù, quel legame non si distrugge, continua a garantire l’umanità di Gesù, ma a Cana è passata ad allargare gli orizzonti, ad allargare le sensibilità, cioè i doni che sta ricevendo, ma anche le “rogne”: le attenzioni, le sollecitudini. Anche lei è chiamata a passare da una religiosità personale con Gesù, ad una religiosità ecclesiale, che tiene presente la sponsalità di Gesù. Anche lei è chiamata a crescere da una relazione a tu per tu con Lui, ad una relazione che si allarga. E si allarga nel dare, ma anche nel ricevere; nelle sollecitudini ma, dopo, anche nella gioia del vino.

Il vino è un tipico elemento comunionale. Tanto che può essere bevuto alla salute degli altri, cioè facendo partecipare gli altri alla mia esperienza. Questo vino è un segno che anticipa l’”ora” in cui il vino sarà dato in modo pieno, definitivo: è il sangue di Gesù, è Vita.  Noi viviamo in questo periodo tra l’”ora” che non è ancora giunta, ma che non è del tutto assente o lontana.

  1. Si può leggere in questo brano anche un “taglio di cordone ombelicale” tra il Figlio e la madre?

Il Figlio è un’altra persona e richiede che anche la madre maturi ad un altro tipo di rapporto con Lui. Questo brano è parallelo a quello della croce: lì Maria è proclamata ufficialmente madre del discepolo e in quel discepolo sono rappresentati tutti i credenti. Quindi Maria è invitata a passare da un ruolo casalingo, domestico, a un ruolo ecclesiale. Il cordone ombelicale lo deve tagliare nel senso che le si richiede un cambiamento di missione, di mentalità. È chiamata ad un compito più ampio, più grande e che costerà una fatica pari a quella di ogni maternità. Parallelamente al crescere di Gesù e della sua ecclesialità anche il compito di Maria si allarga. Avviene in modo progressivo, graduale. È l’esperienza che accomuna anche i genitori cristiani.

  1. Posto che a fondamento del matrimonio della coppia cristiana c’è un sacramento, è lecito affermare che la via della spiritualità coniugale non sia solo una delle varie vie possibili, ma in qualche modo la via “principe” per essere in relazione con Dio?

Sì, nel senso che il matrimonio concretizza il vostro battesimo. Il tuo battesimo ti mette in relazione amicale con Gesù o filiale con Dio. Ma poi questa relazione la vivi in un mondo, la vivi nella società e nella chiesa. Il matrimonio specifica questa vocazione iniziale, che non viene cancellata, ma dice come ecclesialmente i due coniugi vivono la fede: la vivono come immagine dell’amore di Cristo per la Chiesa; anche se a certe riunioni va uno solo dei coniugi, ma va come coniuge. In questo senso, quindi, il matrimonio è come il sacramento dell’ordine; entrambi dicono come tu vivi ecclesialmente il battesimo, come incarni il battesimo nella chiesa e nella società: lo incarni da sposato. E quindi lo incarni insieme al coniuge, coinvolgendolo in ogni tuo impegno, anche se non si fa tutto insieme. Lo coinvolgi in questo impegno portando l’arricchimento che vi date reciprocamente; vivendolo come espressione non solo della tua sensibilità e delle tue idee, ma anche del vostro vivere insieme. Quindi il matrimonio concretizza l’innesto fondamentale che è il battesimo e ti dice come quel battesimo concretamente voi due lo vivete e siete chiamati a viverlo.

Per questo i 2 sacramenti sono chiamati anche “sociali”.

  1. Sulla base di che cosa è stata riconosciuta questa dimensione sacramentale del matrimonio? Perché questo ruolo così pesante del matrimonio riconosciuto come segno, come servizio anche gli altri, questa sua dimensione sociale?

Le risposte sono 2: la prima riguarda in che modo il matrimonio come rito si concretizza, cioè il rito che testimonia che i 2 son sposi. E questa è una storia piuttosto lunga.

L’altra risposta più semplice è che si tratta di un’esperienza che percorre tutto il NT. Questa attenzione alla famiglia c’è in quasi tutte le lettere del NT, ma anche nell’apocalisse perché sottolineando la sponsalità di Gesù, proprio perché utilizza questa immagine, valorizza il matrimonio. Quindi, la sensazione che il battesimo la coppia lo vive in coppia (quello è il sacramento del matrimonio) la Chiesa l’ha percepito fin dall’inizio. Questo vuol dire che il vs matrimonio non è un affare esterno alla Chiesa né qualcosa che si vive individualmente. Questo la Chiesa l’ha percepito fin dall’inizio: due cristiani che si sposano, vivono quel matrimonio come modalità concreta del loro essere cristiani, modalità nella quale Cristo non è assente, modalità che li associa a Cristo in modo ulteriore rispetto al battesimo, approfondendo il battesimo. Poi per le modalità rituali, nel Medio Evo era molto semplice: andare alla Messa festiva insieme. Le norme sono subentrate dopo con i riti e i registri risalgono al Concilio di Trento.

Da subito nel NT si ha la consapevolezza che questo diventare coppia è un modo cristologico di vivere il battesimo; lo vivi associandoti a Cristo, associandoti ad una dimensione fondamentale di Cristo: il suo amore per la Chiesa.

  1. Come mai nella prassi della Chiesa allora sembrerebbe non emergere tanto questa prospettiva?

Dipende dal fatto che nella storia la maggior parte della teologia e le linee di spiritualità l’han fatta i celibi, con la loro sensibilità. E quindi la spiritualità sponsale è stata trascurata. Di qui il desiderio di Giovanni Paolo II di proclamare santi coppie di sposi. Un ulteriore aggravio viene certo, anche, dalla condizione di subalternità e di esclusione che la donna ha ancora in gran parte del mondo. Dunque non c’è da meravigliarsi se solo adesso, finalmente, ci stiamo svegliando su questo filone. 

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