Sacramento vuol dire "mezzo di grazia", "strumento di unione con Dio", ma esso ci può educare in due diverse maniere: quando la grazia funziona bene e siamo condotti a Dio per la strada dei segni positivi; quando la grazia sembra mancarci e lo strumento sembra maltrattato e male usato, può condurci a Dio per la strada del segno che manca e che invoca l'intervento immediato dello Sposo Divino.

Questo è il caso, ad esempio, di S. Elisabettta Conori Mora. Era una donna sposata con un uomo innamoratissimo. Poi questo marito si legò ad una donna di strada e cominciò a trascurare la moglie, ad umiliarla e a far mancare alla famiglia perfino il necessario per vivere. Allora Elisabetta - pur mantenendo fede scrupolosa al suo matrimonio e sempre "attendendo" con tenerezza il ritorno del marito (attese tutta la vita!) - cominciò a vivere con Gesù un vero e continuo colloquio d'amore sponsale. E Lui si preoccupava di tutto, perfino di mantenere la famiglia e di curare l'educazione delle bambini, operando continui miracoli pur di supplire le "assenze" del marito. Solo alla fine, dopo la morte di Elisabetta, il marito tornò a prendersi cura della famiglia. In età avanzata diventerà perfino prete e diventerà anche lui santo.

Che cosa accadrebbe se i drammi delle nostre famiglie venissero vissuti come la parte umile e dolorosa di un Sacramento che "lega indissolubilmente", non per opprimere la parte più buona, ma sempre per condurre a Cristo?

Una moglie può sentirsi rinviata a Cristo sia quando il marito la tratta con ogni tenerezza, sia quando il marito le fa mancare la tenerezza desiderata: il sacramento c'è sempre e opera sempre, gioiosamente nel primo caso, dolorosamente nel secondo.

(A. Sicari)

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